Lovecraft, autore di letteratura horror degli anni Venti/Trenta del Novecento, è riuscito a cambiare il mondo della narrativa e la cultura stessa vivendo praticamente da recluso nella sua residenza a Providence. Forse non ci rendiamo conto della sua influenza, eppure l'entrata dell'elemento fantastico in tutti i rami della cultura contemporanea - dal cinema ai videogiochi, dalla letteratura alla pubblicità, dalla tv ai fumetti - si deve in gran parte ai modelli stilistici e contenutistici inventati da Lovecraft.
Il nome di questo autore è addirittura divenuto un aggettivo: con il termine "lovecraftiano", infatti, intendiamo indicare qualcosa di orribile, terrificante, mostruoso, alieno al nostro mondo. In particolare, ci si riferisce all'orrore psicologico per qualcosa di inconoscibile e incomprensibile.
Come mai lo stile e i temi di questo autore suscitano tanto sgomento? Come mai sono divenuti immortali e come hanno potuto influenzare tanto la cultura del Novecento?
Innanzitutto, la produzione di Lovecraft può essere vista quasi come una protesta contro l'apparente serenità del genere umano, dovuta ad ignoranza o presunzione, e basata sulle conoscenze scientifiche, tecniche, logiche e razionali. Egli ha ideato, nei suoi racconti, un universo immenso e inafferrabile per la ragione umana, dai cui abissi emergono mostri orrendi, simboli di elementi presenti nell'inconscio, come le nostre ombre, le nostre paure ed incertezze. Queste terrificanti creature rappresentano le istanze nascoste non solo nello strato più superficiale e soggettivo dell'inconscio, ma soprattutto quelle che risiedono nell'inconscio collettivo junghiano: esse sono veri e propri archetipi, paure ancestrali dalla potenza indescrivibile comuni al genere umano.
Ecco perché i racconti di Lovecraft hanno fatto e fanno breccia con tanta forza nel nostro animo e nella nostra cultura: questo autore è riuscito ad effettuare un passaggio concettuale da una visione antropocentrica del terrore (tipica dell'Ottocento, per esempio di E.A. Poe) ad una visione cosmica delle paure umane. Ha portato alla coscienza e alla luce gli incubi collettivi della nostra specie: gli istinti repressi, gli aspetti inaccettabili della nostra natura, i terrori non riconosciuti e, in generale, il lato Ombra dell'animo umano. Tutti questi elementi sono in noi da tempo immemore: riguardano le radici stesse della nostra psiche e sono parte del tessuto dell'inconscio collettivo, come sosteneva Jung.
Analizziamo ora le "divinità" principali del pantheon lovecraftiano per osservare meglio i temi spaventosamente soverchianti mostrati simbolicamente da questo autore:
partiamo da AZATHOTH, un remoto "demone-sultano" che vive al centro dell'infinto e lì "bestemmia e farfuglia". Nessuno osa pronunciare il suo nome ad alta voce. Questa immagine mostra la visione del cosmo di Lovecraft: l'universo, per lui, non è la creazione di una divinità con un progetto intelligente, bensì esso è frutto di un caos primigenio, senza alcuno scopo o significato. La creazione non deriva da un atto volontario e consapevole di qualche entità superiore; essa è, piuttosto, un causale borbottio di un bambino. Azathoth bestemmia e ciò simboleggia la negazione di ogni idea religiosa che possa conferire un ordine al caos cosmologico. Lovecraft disprezzava qualsiasi credo organizzato poiché lo considerava una semplice superstizione manipolatoria. Azathoth, inoltre, farfuglia perché, essendo l'immagine stessa del Caos, non può produrre nulla di sensato, non può manifestare nulla che abbia alcunché di razionale o una sequenzialità logica.
Continuiamo con CTHULHU, la sua creazione mitologica più famosa, un orribile semi-dio alieno che giace morto sul fondo dell'oceano da tempi immemori. Esso attende che la morte stessa muoia per poter risorgere e dominare il mondo. Riporto la famosa citazione: “Non è morto ciò che può vivere in eterno, E in strani eoni anche la morte può morire”. Questa aborrita divinità rappresenta la versione incubica della volontà di potenza che viene frustrata, del desiderio di affermazione nel mondo che è costantemente ostacolato e disilluso da destini avversi.
Vediamo ora NYARLATHOTEP, il dio oscuro che è il "caos strisciante": esso simboleggia l'incertezza, la paura dell'estraneo che penetra in noi o nella nostra società. E' sostanzialmente la paura dell'altro, dell'alieno, del diverso eppure anche simile a noi. E' qualcuno che occupa il nostro posto, prende il nostro spazio, si fa largo nel nostro mondo e che per noi è incomprensibile nel suo modo di agire e comportarsi. E' appunto un "caos strisciante" che si insinua nella nostra realtà corrompendola lentamente e dall'interno.
Ecco la Nera Capra dai Mille Cuccioli, SHUB-NIGGURATH! Essa è la versione lovecraftiana di una divinità relativa alla sfera sessuale e alla procreazione. E' l'immagine di una sessualità deviata, repressa, vissuta con tormento e dolore. Per comprendere meglio questo tema, è importante sapere che il padre di Lovecraft morì di sifilide, dopo 5 anni di reclusione in manicomio, in preda ad allucinazioni e scoppi di violenza. Dunque, probabilmente, in questa figura ritroviamo l'atavica colpa del padre che contrasse un male che portò la famiglia alla rovina attraverso un comportamento peccaminoso.
Infine, abbiamo YOG-SOTHOTH, definito il "Tutto-in-Uno" e "Uno-in-Tutto", una entità presente ovunque nell'universo e in ogni tempo. Essa rappresenta l'onniscienza e, quindi, nella sua versione da incubo, la principale antica colpa dell'essere umano, ovvero il desiderio della conoscenza che fece cacciare Adamo ed Eva dal Paradiso. Conoscere il bene e il male, ovvero l'universo nella sua interezza formata dagli opposti, è una cosa riservata alla divinità ed è, dunque, un sapere proibito per l'essere umano. Cercare di raggiungere una conoscenza divina porta l'uomo alla follia e ad un destino peggiore della morte, come si può vedere in numerosi racconti di Lovecraft. Il messaggio è che non potremo mai comprendere la Natura e il Cosmo: esiste una inconoscibilità di fondo che non è superabile dalla mente umana.
Quelli che abbiamo visto non sono incubi personali di un individuo, bensì sono archetipi dell'intera specie umana. La società del Ventunesimo secolo ha rotto i contatti con il divino attraverso la scienza e il materialismo portando alla creazione di un uomo moderno privo di dèi e di demoni. Attraverso la psicologia (e in particolar modo la psicologia analitica) si stanno cercando di riscoprire gli dèi come simboli di istanze psichiche, come proiezioni di archetipi inconsci. Il mondo, per l'uomo contemporaneo, è divenuto per la prima volta nella storia, vuoto, privo di significato, senza un senso; si è spopolato di figure magiche e trascendenti. L'uomo si trova ora faccia a faccia con la sua stessa umanità, frutto di opere meravigliose ma anche dei crimini più abietti. La colpa non è più attribuibile ad una possessione divina o demoniaca, all'influenza degli astri o al malocchio; ecco l'essere umano posto di fronte alla sua stessa responsabilità. L'orrore e la sensazione di caos emergono dalle profondità inconsce: l'umanità è un qualcosa di insignificante in un universo frutto del caso, non ci sono entità superiori con un progetto evolutivo. Solo gli artisti più sensibili riescono a rappresentare il disagio di un'epoca, ed uno di questi è stato Lovecraft, un autore che ha delineato mondi alieni popolati di divinità spaventose e totalmente indifferenti nei riguardi dell'esistenza umana, simboli delle inquietanti paure archetipiche sepolte nel profondo dell'inconscio collettivo della specie.
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